Il “poeta dell’unità d’Italia” all’Università di Padova
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Anno V – 21 agosto 2020
Fin dal 1222 il motto Universa universis patavina libertas, caratterizza l’Università di Padova, il suo spirito di ricerca culturale e il valore che la libertà come deliberazione al bene ha nella formazione di uomini capaci nei diversi ambiti in cui essi esercitano la loro professione, dopo i lodati studi, che rendono le famiglie e gli stati degni.
L’università, non solo quella di Padova, ha nel tempo subito diverse trasformazioni, ma queste hanno cercato di rispettare il proprio indirizzo e se le istituzioni anche organizzative interne sono mutate, non per questo è mutato lo spirito.
L’università, che ha il suo antenato illustre nella Schola Palatina, voluta da Carlo Magno e organizzata da Alcuino di York (735-804) si è, a partire dal XIII secolo, dopo la fondazione dell’Alma mater studiorum, ossia la Scuola bolognese, diffusa in tutta Europa, e poi nei secoli successivi in tutto il mondo, tanto che proprio il nome “università” è rintracciabile in tutte le lingue.
Lungo sarebbe anche solo raccontare la storia di questa istituzione, ci limiteremo a quella di Padova nell’Ottocento nella sua massima carica, quella di Magnifico Rettore, che ancor oggi è il vertice dell’organizzazione degli studi universitari a Padova.
Esisteva la carica di Rettore fin dai primi tempi. I Rettori sono stati studenti dello Studio, uno per l’università giurista e uno per l’università artista, ossia quella che si occupava delle Arti: medicina, filosofia, aritmetica, astronomia, logica, retorica e grammatica, variamente articolate nelle università in relazione al Trivio e al Quadrivio.
Dalla seconda metà del XVIII secolo, invece, i Rettori furono professori dello Studio e sempre eletti dagli altri docenti.
L’Università di Padova possiede l’elenco degli oltre 100 Magnifici Rettori dal 1806, quando fu istituito il ruolo del Rettore unico.
Molti furono i Rettori ad avere lo stato clericale. Dal primo Daniele Francescon (1806-07) fino all’ultimo di cui diremo nel 1872. Il Rettore fino al 1900 durava in carica un anno accademico e si occupava di coordinare tutte le attività dello Studio, in particolare dello svolgimento degli insegnamenti, dato che qualche professore cercava di non impegnarsi troppo. Alcuni Rettori ebbero origine vicentina, come l’asiaghese Giambattista Pertile (Asiago, 1º gennaio 1811 – Padova, 18 marzo 1884), giurista o stretti rapporti con Vicenza come Giovanni Giuseppe Cappellari che fu per due volte Rettore: 1817-18 e 1830-31.
È notabile questo personaggio (Rigolato, 14 dicembre 1772 – Vicenza, 7 febbraio 1860), professore al seminario di Udine, fu nel 1815 docente di Teologia morale all’Università di Padova, dove divenne anche docente di Diritto Canonico ed ebbe come allievo anche il giovane Antonio Rosmini, il grande filosofo cattolico.
Il 5 gennaio 1832 fu nominato, secondo l’uso dell’epoca, dall’autorità imperiale asburgica a vescovo di Vicenza, che fu poi confermata da papa Gregorio XVI, suo parente. A Vicenza rimase quasi trent’anni e fu l’edificatore del Seminario vescovile che ancor oggi è il luogo di preparazione dei futuri sacerdoti.
Non solo l’edifico, ma il vescovo Cappellari curò l’insegnamento. Fioriva in quei tempi a Vicenza una cultura classica e scientifica notevole con docenti di grande livello, un elenco lunghissimo e molti di essi era anche stati docenti nel Liceo vicentino.
In quell’epoca molti erano i seminaristi, tra i quali Giovanni, Alessandro e Gaetano Rossi; anche il cugino Giacomo Zanella di Chiampo frequentò il seminario e nell’agosto 1843 fu consacrato sacerdote.
Il giovane presbitero che già avviava la sua vena poetica, iniziò subito ad insegnare Umanità, poi Filologia latina, Filosofia teoretica e morale, per volere dello stesso vescovo. Le vicende del 1848 fecero subire la persecuzione delle autorità austriache al giovane Jacopo, che si dimise per non nuocere al Vescovo stesso e ai colleghi.
Dopo qualche anno di solo insegnamento privato, ottenne l’abilitazione ala docenza nelle scuole statali. Insegnò negli Imperial regi ginnasi liceali a Venezia a Vicenza e fu Direttore a Vicenza e Padova.
Nel 1866 (10 dicembre) fu nominato professore ordinario di Letteratura Italiana all’Università di Padova, lui che iniziava ad essere considerato “il poeta dell’unità d’Italia”. Il 17 novembre 1871 venne eletto con buona votazione Rettore Magnifico.
Fu un impegno serio e faticoso, soprattutto dovette far fronte a docenti che poco si impegnavano e soprattutto a quei docenti che mal accettavano il rettorato di un sacerdote.
Si era in un clima anticlericale, un po’ massonico e con una forte tendenza al positivismo e all’evoluzionismo che a Padova ebbe in Giovanni Canestrini (1835 -1900) biologo e aracnologo e dal 1869 professore a Padova, uno dei massimi fautori, fu il primo traduttore del testo di C. Darwin L’origine della specie.
Giacomo Zanella nel 1872 incontrò per tre verni difficoltà personali psicologiche e nel 1875 presentò le dimissioni dall’insegnamento universitario e non accettò la cattedra che gli venne offerta all’università di Napoli.
Dal 1876 il poeta si riprese ed iniziò una nuova stagione che culminò nella silloge Astichello, il compimento della sua poesia. Nella villetta a Cavazzale di Monticello Conte Otto il 17 maggio 1888 iniziò il suo percorso nei prati del cielo.
Fu l’ultimo Magnifico Rettore dell’Università di Padova sacerdote, dal 1872 in poi vi furono insegni docenti dello Studio, ma nessuno rivestiva lo stato clericale. Negli anni Ottanta del secolo scorso un sacerdote, professore di Filosofia nell’Ateneo patavino, che divenne vescovo di Vicenza, ebbe la carica di Prorettore dell’Università di Padova: Pietro Giacomo Nonis (1927-2014); concorse anche per l’elezione al rettorato, ma mancarono i voti.
I tempi cambiano, pochi i presbiteri e ancor meno docenti universitari, è fiorita la Facoltà Teologica del Triveneto con sede a Padova, che ha specificità di studi e di formazione; ci si augura però che vi siano ancora sacerdoti nelle varie branche delle scienze e della letteratura, capaci di avvertire quella tensione di Galileo Galilei, che tanto interessava a Giacomo Zanella e a Pietro Nonis: “Non siamo che per ritrovare l’opera fabbricata dalle Sue mani. Vaglia dunque l’esercizio permessoci ed ordinatoci da Dio per riconoscerne e tanto maggiormente ammirare la grandezza Sua, quanto meno ci troviamo idonea a penetrare i profondi abissi della Sua infinita sapienza.”