L’allievo il cui matrimonio ispirò l’ode più celebre e diffusa.
De’ miei numerosi scolari non posso finora lodarmi abbastanza; tra loro sono alcuni ingegni bellissimi, quali non credeva trovare in questa aria molle e crassa, per dirla con Giovenale. Del resto l’insegnamento ha più forma di Università che di Liceo; si danno lezioni; gli scolari son obbligati a farsene compendii, coll’aiuto delle note scritte in iscuola e dalla loro memoria.
Da una lettera di Giacomo Zanella ad Antonio Fogazzaro del 9 dicembre del 1857.
Dall’introduzione de “Il carteggio fra Giacomo Zanella e Luigi Luzzatti (1858-1880)” di Oreste Palmiero (2016).
Nelle sue funzioni di docente e insegnante Giacomo Zanella influenzò, ispirò e incoraggiò positivamente molti studenti e allievi durante il suo percorso terreno, lasciando su di loro un’impronta duratura e indelebile nella formazione culturale, sociale e spirituale, divenendo per molti, con il passare del tempo, amico fraterno e confidente.
Queste tracce sono visibili nelle numerose testimonianze epistolari, colme di affetto e dense di consigli, con le poetesse Elisa De Muri Gradesso-Silvestri, Vittoria Aganoor, Lucrezia Marzolo, Maria Alinda Bonacci Brunamonti, Erminia Fuà, Adriana Renier Zannini.
E altresì visibile l’amicizia, la stima e la condivisione profonda con poeti, uomini di cultura e docenti universitari come il filologo Giuseppe Fraccaroli, lo scrittore e poeta Antonio Fogazzaro; industriali e politici del calibro di Antonio Bottero, Bernardo Morsolin, Giuseppe Manni, Edmondo De Amiciis, Sebastiano Rumor, Guido Mazzoni, Fedele Lampertico, Alessandro Rossi e Luigi Luzzatti.
Proprio da quest’ultimo inizieremo questo nostro viaggio, poiché grazie ad un ode in onore del matrimonio dello statista ed economista Luzzatti con Amelia Levi nel 1864, richiesta dall’amico Fedele Lampertico, si deve la creazione della composizione poetica più celebre e più diffusa di Giacomo Zanella: Sopra una conchiglia fossile nel mio studio.
Per un approfondimento sul rapporto tra l’abate Zanella e Luzzati rimandiamo all’esaustivo saggio storico-biografico di Oreste Palmiero “Il carteggio fra Giacomo Zanella e Luigi Luzzatti (1858-1880)” tratto da Quaderni Veneti Vol. 5 – Num. 2 del dicembre 2016.
Luigi Luzzatti
da “Giacomo Zanella , appunti biografico-critici” (1969) di Giuseppe Biasuz pubblicato su “Padova e la sua provincia” anno XV – Numero 10 – Ottobre 1969.
(…) Nell’anno scolastico 1858-’59, il Luigi Luzzatti ebbe quale suo insegnante di italiano e filosofia nel liceo «Santa Caterina» di Venezia (l’attuale «Marco Foscarini») l’abate Giacomo Zanella. Congedandosi dal maestro al termine delle lezioni, il giovane ne ricordava con commozione «la bontà paterna» e «le feconde massime, bevute dalla sua bocca con l’anelito dell’assetato», per cui sentiva di doverlo chiamare col titolo di «suo secondo padre». L’enfasi giovanile delle espressioni non toglie nulla alla ingenua schiettezza dei sentimenti, che si mantennero inalterati per tutta la vita.
Sessant’anni dopo infatti, quasi ottuagenario, il Luzzatti poteva inaugurare sul Pincio «con il cuore pieno di commozione» un busto dedicato al suo «soave maestro», del quale sulla fine della vita sentiva ancora l’influsso dell’educazione ricevutane.
Nell’anno accademico 1859-’60, il Luzzatti si iscrisse nella facoltà di legge nell’Università di Padova, e lo Zanella, che frattanto s’era trasferito al liceo classico di Vicenza, si faceva premura di raccomandare ai suoi amici, l’ab. Antonio Rivato, professore di filosofia pratica e l’ab. Pietro Canal di letteratura latina, il Luzzatti, presentandolo come un giovane, «sull’ingegno e la diligenza del quale egli poteva rendere la pili favorevole testimonianza», e che essi avrebbero certamente potuto confermare «sulla buona via per cui s’era già messo».
Durante gli anni universitari l’affettuosa amicizia tra maestro e scolaro si rinsaldò nei frequenti colloqui e nelle lunghe passeggiate pomeridiane, che ordinariamente facevano insieme fuori Porta Santa Croce . «Io, racconta il Luzzatti, cercavo di rivaleggiare con lui nel ripetere a memoria i passi più importanti dei nostri grandi poeti; che, ancora scolaro di liceo, avevo imparato a memoria quasi tutta la Divina Commedia e numerosi passi di altri autori nostri e latini».
Noi sappiamo però che era assai difficile rivaleggiare in questo campo con lo Zanella, dotato di una felicissima memoria. Scrisse a questo riguardo il Fogazzaro: «Nella conversazione familiare lo Zanella pareva veramente un mago, che tenesse prigionieri gli spiriti di tutti i grandi scrittori antichi e moderni e moltissimi tra i mediocri. Era un mago bonario, non li incomodava per vanità, senza ragione. Non li teneva in capo, la sua mente non pareva ingombra mai; era una mente chiara, semplice, agile. Li teneva in petto, e quando conversava, non solo d’arte e di politica o di morale, ma di persone altresì e di cose, ne chiamava su dal fondo uno o l’altro nel momento opportuno, più spesso i latini e Dante, e ne aveva pronta, spontanea la citazione appropriata».
Da questi incontri e colloqui col maestro, il Luzzatti dichiarava di uscirne edificato ed incoraggiato nel bene. «Che coscienza onesta, serena, che ingegno gagliardo egli era! In mezzo a tante sozzure sentivo che egli era uno di quegli uomini che ci possono compensare a dovizia di ogni bruttura. Egli mi ingenerava tanta fiducia che io gli aprivo l’animo come se avessi parlato a me stesso».
Lo Zanella volle anche che il Luzzatti si mettesse in relazione con altri due suoi scolari vicentini, il Lampertico ed il Fogazzaro: e del primo infatti egli divenne ben presto confidente ed amico. «Con don Giacomo ho passato ore liete, confidava il Luzzatti al Lampertico nel ’62. Che angelo d’uomo. Umile, generoso e sapiente; toglie dalla testa molti errori senza pesare minimamente, e sotto placide apparenze ha un cuore di fuoco». E anni dopo osservava a tale proposito, che per certe audacie del suo spirito, se non fosse morto in tempo, lo Zanella sarebbe potuto finire censurato come uno dei suoi allievi più illustri, il Fogazzaro.
Ma ciò che è più ammirevole nei loro rapporti, sono il reciproco rispetto e lo spirito di tolleranza che li animava e che, pur nella diversità di opinioni e di convinzioni, legava il pio sacerdote al discepolo, israelita e convinto razionalista.
Nel 1861, allorché il Luzzatti attendeva al suo noto studio comparativo tra Buddismo e Cristianesimo, lo Zanella gli raccomandava di attendere particolarmente «alla credibilità delle fonti», giacché mentre il cristianesimo ebbe il gran bene di sorgere in tempo quando la coltura era nel massimo fiore, il Buddismo, fino allo scorso secolo, era quasi rimasto sepolto nelle tenebre e nelle contraddizioni. «Mi raccomando al vostro candido cuore e voi siete tale che la verità non può sbigottire, ma riempire di nobilissimo godimento».
E in altra lettera del luglio ’62, a proposito del sentimento religioso e dell’educazione del popolo, gli scriveva ancora: «Lo spirito di tolleranza, dì cui tutte e due siamo compresi, ci può ravvicinare in molti punti della questione. Sono d’accordo sulla necessità dell’educazione del popolo: egli ha gli stessi diritti degli altri privilegiati; volerlo escludere è delitto di lesa umanità. Ma il confronto delle dottrine delle altre religioni e l’esame dei dogmi richiedono lunghissimo tempo, del quale il popolo è costretto a disporre diversamente. Caro Luigi, voi prendete la religione come una necessità che nasce nell’uomo dopo che egli abbia educato le sue facoltà: io credo invece che la religione abbia un principio divino anteriore agli umani ragionamenti, i quali possono bensì radicarla più profondamente, ma non farcela nascere senza quella venuta dal cielo».
Così parlava con franca e ferma convinzione il sacerdote, ed il discepolo rispondeva assicurandolo che avrebbe fatto tesoro dei suoi consigli, giacché non nutriva idee preconcette.
Lo Zanella si confidava anche spesso con il Luzzatti, nel quale riconosceva uno dei più forti e nobili ingegni, («così giovane e già così innanzi nel sapere»), circa i suoi studi, le sue letture, e la sua attività di poeta.
Nei primi mesi della sua direzione dell’I. R. Ginnasio liceale di Santo Stefano (l’odierno «Tito Livio») gli scriveva: «Finché non sono tranquillo sull’andamento dell’Istituto, di cui posso dirmene ancora nuovo, non ho coraggio di pormi a forti letture. Vo’ leggendo qualche pagina del Vìllemain, uno dei primi scrittori francesi contemporanei. Tutto ordinato, lucido. Quando mai la nostra prosa vedrà qualche cosa di simile? Finché durano questi litigi grammaticali non ci veggo speranza. Ho letto all’Accademia patavina parte del mio studio sulla letteratura inglese: mi ascoltarono attentamente. Credo che Toni Tolomei fosse il giudice più competente. Voi direte che in economia durano molti pregiudizi, che le idee sono ancora ristrette: e in letteratura credete si siano fatti gran passi?»
Altre volte parlandogli dei suoi versi e comunicandogli di attendere ad una poesia sul Lavoro, usciva in questa importante confessione critica: «È vero che ho scritto non poche cose, ma erano piuttosto esercizi di stile, che espressioni di sentimento. Adesso appena comprendo la grandezza e l’utilità dell’arte».
E infatti proprio da questo periodo aveva inizio il nuovo stile zanelliano, ricco di pensiero e di sentimento, che si esprimeva nelle bellissime odi come La conchiglia fossile, La veglia, Egoismo e carità, ecc.
Il Luzzatti si inorgogliva di avere incoraggiato il nuovo esordio «di quell’anima dolcemente ed essenzialmente poetica». Andato a Milano nel ’65, parlò col suo amicissimo Treves dello Zanella, e lo interessò per la pubblicazione dei suoi versi; e narrava che in un colloquio col Càrcano, essendo caduto il discorso sui maggiori poeti del momento, questi gli aveva fatto spontaneamente il nome del poeta vicentino. «Zanella mio, esclamava, quando lo vorrete, sarete il primo poeta d’Italia: guardate allo studio e all’amore di tanta colta gioventù, che ammira il vostro ingegno e il vostro sapere», e lo esortava perciò caldamente a vincere la sua modestia e a pubblicare finalmente la raccolta dei suoi versi.
Questi uscirono infatti nel 1868 per i tipi del Le Monnier di Firenze, ed ebbero subito larghissimo successo.
È noto che alla fortuna delle Poesie giovò allora soprattutto l’ode la Conchiglia fossile, che lo Zanella aveva scritto, su invito del Lampertico, per le nozze del Luzzatti con Amelia Levi, celebratesi a Venezia il 30 marzo 1864. (…)