Come un testo del politico Massimiliano Martinelli venne attributo al nostro poeta.
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Si abusa talora delle opere di un Autore non citandole con correttezza o magari appropriandosi di qualche parte; raramente di un testo intero.
Ciò è accaduto ad uno tra i vicentini illustri proprio a Giacomo Zanella, sacerdote della Chiesa cattolica. Pochi nelle sue opere e nelle lettere sono gli accenni diretti al suo servizio di sacerdote, ma traspare sempre la sua scelta di vita, sia che si dedichi alla pastorale, la celebrazione delle S. Messe con annesse prediche, sia nell’amministrare i sacramenti, fedele a quella impostazione che vedeva il sacerdote dedicarsi alla Liturgia, alla cura delle anime e quasi scomparire nella sua dimensione personale, sia nella vita di poeta, educatore e patriota.
Nel suo ministero fu sempre vicino al popolo nel linguaggio, che nelle Prediche non era mai affettato; è noto che usasse, dal pulpito, talora, il dialetto “Visentin”, forse con qualche reminiscenza dell’accento di Chiampo: «Giacomo Zanella sapeva discendere nei cuori della povera gente che “egli aveva vicina, la osservava e l’amava meglio a Cavazzale girando per la campagna”; ma egli spiegando, fedele al comandamento: “Andate e predicate” (Matteo, 16,15), il Vangelo nelle domeniche, o predicando il mese di maggio, non badava di usare il dialetto, e lo faceva con un immensa gioia di tutti quegli umili. Quale scuola ai giovani predicatori che discutono solennemente ai contadini sui dommi e citano autori francesi, inglesi e magari tedeschi».
Ma, nel 1890, due anni dopo la morte del poeta, furono editi a Firenze da Alessandro Volpato i suoi “Sermoni giovanili“. L’opera godette di successo, l’Autore era noto e apprezzato in tutta Italia. Poche omelie erano state pubblicate, ricordiamo quella in una chiesa parrocchiale sopra Verona “La purificazione di Maria” e non si conoscevano che poche altre.
Fu Sebastiano Rumor che fu vicino negli ultimi anni al poeta che morì nella sua villetta di Cavazzale a denunciare che quei sermoni non erano zanelliani.
In una nota manoscritta apposta all’esemplare della pubblicazione posseduta dalla Biblioteca Civica Sebastiano Rumor precisa: «È una birbonata libraria. L’autore dei “Sermoni” è Massimiliano Martinelli” (1816-1893, bolognese, patriota e politico, fu senatore del Regno). “Il libro fu pubblicato fino dal 1858 da Felice Le Monnier».
In realtà la pubblicazione è del 1857 e l’edizione del 1890 in duecento esemplari è eguale a quella precedente, tranne che per il sottotitolo “Inediti”, “l’errata corrige” che non fu riprodotta e non si corressero gli errori. Si aggiunse sotto il titolo “Edizione curata sugli autografi”.
Fu certo un abuso e grave per sfruttare il nome del poeta; non vi era allora la protezione degli Autori, ma l’Editore Volpato compì un grave atto.
Solo nel testo “Giacomo Zanella Sacerdote – Intervento di don Pierangelo Rigon” (Vicenza, Editrice Veneta, 2015) si parla di questa vicenda a pagina 43; della “birbonata” non ne parla E. Greenwood nella sua “Vita di Giacomo Zanella” (Vicenza, Neri Pozza, 1990) e oggi i “Sermoni giovanili” sono stampati negli Stati Uniti (nelle immagini a seguire le varie edizioni) e disponibili tutt’ora sempre e solo con il nome di Giacomo Zanella.
Merita di ricordare come il poeta considerasse che le omelie non dovessero essere a vanagloria del predicatore e di ciò fin dal 1848 aveva avvertito i suoi confratelli (Vicenza, Tip. Picutti, 1849), compiendosi il suo ottavario nella Chiesa di Lonigo (VI), che ben delinea come il pulpito non debba essere il luogo del protagonismo del sacerdote, come spesso oggi accade, ma dove si espone la verità che è nella Parola di Dio, nella dottrina e morale della Santa chiesa.
Chi per febbre di plausi il lezïoso
Stempra sermon che sol dal labbro esala,
O chi a salir del pergamo fa scola,
Non fia ch’opra alle turbe il ver nascoso.
Religïon è ver. Tu, il generoso
Core, onde parli, e dell’ingegno l’ala
Guida così, che qual nel lezzo ammola
Nella vigna di Dio trovi riposo
Mille al gregge dan norme: un sol l’educa;
Perché il maestro della santa scola,
Colpa il mal vezzo, pochi hanno per duca.
Tu, se al fior d’April risponde il frutto;
O al Vero sacrerai franca parola,
O muta sia se non può dirlo tutto.