Due composizioni di Giacomo Zanella poco note del 1847 e del 1884.
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Anno VI – 20 gennaio 2021
Il verseggiare gli era naturale, aveva sempre una “riserva” di temi, di immagini, di riflessioni che poteva “alla bisogna” estrarre dalla sua tuba e dedicare, quasi sembrava improvvisando a chi con fare gentile gli si rivolgeva, e per costoro aveva sempre un ringraziamento rimato.
Non aveva supponenza anche quando scrisse, ma non si riferiva a se stesso:
“Io – Arte – colgo a volo un tuo -della natura – fuggiasco lampo, / E con la rima o col pennel lo eterno.”
L’arte quando essa è bella nel tempo estende il suo valore e non si consuma “alla moda” del tempo o s’abbella per ingraziarsi il plauso spesso interessato: è ricchezza di contenuti che si sciolgono nei versi e si donano.
Non s’avrà mai critico che possa eternare un poeta, perché i versi dicono da soli, non hanno bisogno, come tutta l’arte, di chi la dichiari bella, importante ecc. e con frasi acconce ben scritte e meglio dette, ma soprattutto complesse e non di facile intendimento.
La poesia, l’arte in generale, è respiro universale quando si trasforma in solipsismo dicente, spesso chiacchiericcio, allora essa non viene intesa. L’arte bella s’intende senza tante mediazioni intellettuali; i grandi non fanno arte solo per i cenacoli degli “addetti”, anche gli umili intendono la bellezza, ma perché essa è legata al bene, allo star bene o al ben pregare e al ben considerare la società non piace a chi consuma s’avviluppa in parole critiche, che hanno perduto persino il senso etimologico delle parole d’analisi.
Quando Erminia Fuà Fusinato e altri amici lo indussero a pubblicare nel 1868 i suoi Versi, non ne era punto convinto, anzi, ricorda Fedele Lampertico, li riteneva degni del fuoco, tranne Sopra una conchiglia fossile nel mio studio, che era subito stata considerata da tutti un capolavoro.
Giacomo Zanella non fu mai geloso dei suoi scritti, aveva l’umiltà dei grandi e non di chi per un versuccio pubblicato crede se stesso emulo di Omero o di Dante. Donava i suoi versi e per questi molti sono rimasti per lungo o forse ancora rimangano in qualche chiuso quaderno. Qualcuno fu tratto a luce e ogni tanto è stato pubblicato.
Riportiamo due di queste composizioni poco note, una del 1847 ed un’altra del 1884.
Nel 1906 G.B. Cervellini ebbe dal nob. Dott. Ing. Prospero Cisotti di Vicenza i versi che gli dedicò nel 1847 Giacomo Zanella, quando ricevette dal giovane che si dilettava di pittura , un quadretto a olio rappresentante un paesaggio. Il giovane, studente in seminario, era certamente colpito dal docente di Filosofia Zanella, che proprio in quell’anno sosteneva con il massimo e la lode il primo dei tre esami previsti per la laurea in Filosofia all’Università di Padova. Colpito, lo possiamo immaginare, dalla cultura e dall’abile capacità di esposizione dei difficili concetti della filosofia, il giovane, pensò di omaggiare il docente con una sua produzione artistica.
Un regalo è sempre un segno importante, quando è donato con il cuore e lo Zanella ricambiò con Il Riposo di Raffaello Borghini (1537 – 1588) edizione Reggio, P. Piccadori, 1826. In realtà riedizione del testo del 1584, (cfr. Addenda).
Zanella conosceva quest’opera importante, che esamina in oltre 700 pagine tantissime opere dell’arte italiana e che tiene il paro alle Vite di Giorgio Vasari pubblicate nel 1550.
Nel volume in dono, rilegato in tela, nell’interno, a tergo, Zanella scrisse a matita quattro distici, probabilmente improvvisati. G.B. Cervellini li pubblicò nel 1906, giudicandoli “non a dir vero, una gran cosa;” ma soggiungeva “ ma lo manifestano – Zanella – già fin d’allora il maestro ed educatore, che costantemente mirerà a svegliare nel cuore dei giovani l’amore del bello e dell’ Arte immortale.
Cosa che fece anche quando in Friuli, ospite di Angelina Mangilli ebbe modo di scambiare qualche parola, durante una passeggiata, con una fanciulla di nome Minuicce. Qualche tempo dopo, fattasi grandicella, ricevette un libro di preghiere con la dedica “Perché impari a conservarsi buona e pia”.
Questo era l’uomo a cui si affianca, stessa natura, il poeta.
I distici, pubblicati a Treviso non sono molto noti.
Nel proseguo della vita memoriae che del Poeta dell’Astichello si fa ancor oggi, 2021, dopo l’anno bicentenario della nascita, (avvenuta a Chiampo nel 1820), riproporli ci fa comunque gustare qualche bella e buona parola in versi e se non proprio all’altezza di tante altre composizioni del poeta, purtuttavia ci invitano ancora a considerare che “dietro al bello van le genti”, che però debbono stare attente che non sia “capriccio” smart!, come i dottorelli, accomodati sul salario o sulla poltroncina, troppo inseguono, poco intesi che la cultura è servizio e non moda effimera che nemmeno ti lustra, ma solo ti compiace per un istante.
Ecco i versi di G. Zanella che indicano il valore dell’arte:
Giovinetto gentil, che col pennello,
G.B. CERVELLINI, Alcuni versi inediti di Giacomo Zanella, Treviso, Tip. Ist. Turazza, 1906.
Vai pel creato seguitando il Bello,
Ed all’iride all’alba all’erbe a’ fiori
Sai le forme rapir l’ombre i colori,
Quando il pensier da lunghi voli è stanco
E languida la man posi sul fianco,
Quinci l’estro avvalora. In queste carte
Chiusa è la fiamma onde immortal è l’arte.
L’altra composizione, quella del 1884, fu pubblicata nell’ “Auxilium” numero univo giornale illustrato, letterario, artistico, musicale pubblicato a cura del Comitato milanese di beneficenza per gli italiani danneggiati dal colera, Milano, Ottobre 1884 [Milano, Stabilimento Ricordi].
Era uso e talora compare anche oggi, un tempo raccogliere scritti, composizioni di personaggi illustri in “numeri unici” o “raccolte”, poste in vendita, il cui ricavato veniva destinato a bisognosi vittime delle situazioni.
Giacomo Zanella era disponibile certamente a “donare” propri versi per uno scopo benefico scopo.
L’epidemia di colera del 1884 a Napoli fu devastante colpendo soprattutto i quartieri poveri e si diffuse in 44 province. Fu un “regalo” indesiderato della Francia che, in una psicosi dovuta alle credenze mediche dell’epoca (si credeva che le malattie si diffondessero attraverso i miasmi provenienti dalle falde acquifere infette dei quartieri più poveri), diede il via a migliaia di espulsioni di italiani, possibili infetti, abitanti in condizioni di assoluta miseria a Marsiglia e Tolosa. L’epidemia suscitò viva partecipazione di tutta la popolazione italiana e spinse il governo a emanare la Legge pel Risanamento di Napoli del 1885.
Giacomo Zanella donò questi versi ad Auxilium, “Numero unico – Giornale illustrato letterario artistico musicale pubblicato a cura del Comitato milanese di beneficenza per gli italiani danneggiati dal colera – Milano ottobre 1884”.
Nel “Numero Unico: Giacomo Zanella” del 9 settembre 1893 furono riproposti.
La Coscienza
Ne’ più cupi abissi
Del core come stella che si specchia
A mezzodì nell’ime acque d’un pozzo d’alte montagne, occhiuta insonne
Austera, incorruttibile una dea
Veglia, che none ha Coscienza. Assume
Color conforme all’opere mortali;
E nel volger d’un’ora i nembi aduna
E l’iride rimena. L’innocente
Povertà sulle dure assi addormenta;
E sulle regie porpore la notte
Di terribili larve empie a’malvagi.
Un particolare ringraziamento alla Biblioteca della Fondazione Istituto per la storia dell’età contemporanea – Sesto San Giovanni, MI – che ha fornito l’originale di “Auxilium”.