Fra Francesco Maria fu elogiato da Zanella all’Accademia Olimpica nel 1880.
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Nuova serie – Anno I, n.5 – 3 maggio 2021
Vicenza ha acquisito grande fama mondiale per alcuni suoi protagonisti, in particolare Antonio Pigafetta e Andrea Palladio, ambedue hanno iniziato ad avere una grandissima rinomanza a partire dal secolo XIX, il primo per la pubblicazione del principale manoscritto della sua Relazione, depositata presso la Biblioteca Ambrosiana, avvenuta a Milano nel 1800 e il secondo per la diffusione soprattutto in ambienti anglosassoni del cosiddetto “palladianesimo”, una importante considerazione del mondo antico, quasi a dire che l’architetto fece nuove le cose vecchie, ossia diede nuovo slancio al classico.
Accanto a questi numerosi altri tra cui piace ricordare il viaggiatore Filippo Pigafetta.
Ma anche il Palladio ebbe a Vicenza sia ai suoi tempi sia nel ottocento validi continuatori dell’impegno nell’architettura, come non ricordare Carlo Barrera e Giacomo Fontana, Giacomo Verda Antonio Piovene, Francesco Lazzari, Antonio Caregaro Negrin, Bartolomeo Malacarne e il suo sogno di una Vicenza palladiana e classicheggiante. Tra costoro non sfigura certo Matteo Lorenzoni (1804-1880).
Matteo Lorenzoni compì dapprima degli studi nelle scuole di San Giacomo, oggi sede della Biblioteca Bertoliana, e poi con la famiglia fu a Bolzano in Tirolo dal 1812 al 1815, poi il ritorno a Vicenza.
Fondamentale fu lo studio del disegno che allora si impartiva anche al Ginnasio, di bell’aspetto amava le allegre brigate e i giochi, e si divertiva a costruire maschere per il carnevale e la casa era luogo di allegra brigata.
Ma l’abitazione dei Lorenzoni aveva anche uno stanzino dedicato alle pratiche religiose, particolarmente la Via Crucis, collocatavi dal cappuccino Padre Girolamo Burato, zio del valente tipografo.
Una devozione domestica che portò il fratello Girolamo alla vocazione come Padre nei Servi di Maria, divenendo Priore del Convento di Monte Berico e lui stesso, dopo un momento di smarrimento amoroso.
Proprio per liberarsene andò a Padova presso il fratello ingegnere applicato alle pubbliche costruzioni. Con l’aiuto del fratello studiò l’architettura e propose a se stesso come maestro Andrea Palladio, imparò pure l’arte delle immagini di cera dal suocero del fratello che tale arte esercitava allo Studio di Padova per l’anatomia.
Ritornato a Vicenza nel 1829 comprese la sua via e decise, dopo momenti di preghiera, quale fosse. Mise tre biglietti in un vasetto: sacerdote secolare, cappuccino sacerdote o cappuccino laico e per tre giorni estrasse la sorte. Sempre uscì “cappuccino laico”.
Fu la sua strada e divenne Fra Francesco Maria da Vicenza.
Nei vari conventi dove fu (Verona, Venezia, Villafranca, Lendinara, Trento,
Sottomarina…) ebbe modo di esercitare la sua arte.
Indirettamente fu coinvolto nelle vicende del 1848 e fu incarcerato. Si servì della sua arte, come fece fra Filippo Lippi che, catturato dai corsari, e venduto come schiavo, fece il ritratto del padrone che, apprezzandolo, lo liberò. Allo stesso modo ricorse il nostro cappuccino, ritraendo in miniatura i vari ufficiali austriaci e del generale capo.
I buoni uffici di quest’ultimo presso il maresciallo Josef Radetzky consentirono a fra Francesco di ritornarsene al convento.
Fu inviato a Trieste per disegnarvi e costruirvi per i cappuccini un convento ed una chiesa dedicata a Sant’Apollinare. Con alacrità lavorò al progetto e nel 1870 la Chiesa fu consacrata.
A Trieste fra Francesco fece molte altre opere di architettura e la sua attività fu presente anche in Istria a Muggia, poi anche a Gorizia.
Fu chiamato in Croazia, in Montenegro, in Dalmazia e in Bosnia diede a queste zone i suoi progetti e a Mostar disegnò il duomo e a Humac un
convento cappuccino.
Un’attività che non venne meno per tutto il restante della sua vita, anzi fu conosciuta la sua capacità e venne chiamato in Corsica, a Bastia per progettare conventi e chiese.
Rivide a Trieste nel 1870 i suoi progetti, purtroppo modificati, realizzati, ma non se ne lamentò.
Tornato in Corsica per, riteneva, trascorrervi gli ultimi anni, fu dal padre generale proposto per progettare per la città di Penambuco in Brasile (nell’arcidiocesi di Olinda e Recife), il Santuario dedicato alla Madonna, detta Nossa Senhora de Penha, che, maestoso, fu progettato per 65,70 metri
di lunghezza, 28,40 di larghezza e 46 di altezza.
Il progetto fu conosciuto anche da Antonio Caregaro Negrin che lo apprezzò.
La costruzione subì un restauro nel 1902 e subì qualche modifica ad opera dell’architetto ingegnere portoghese Luiz de Moraes Júnior, (1872 – 1955).
Nel 1879, sentendo che le forze veniva meno, chiese ed ottenne di ritornare nella natia Vicenza, vi giunse il 10 febbraio del 1880 e il 13 rese l’anima a Dio.
L’architetto cappuccino sempre si considerò figlio di Vicenza e l’ebbe cara perché in essa trovava le architetture del Palladio di cui si considerava, come abbiamo riferito, “allievo” e fu dalla Giunta Municipale considerato fin dal 1876 cittadino benemerito della patria e in essa volle trascorrere le sue ultime ore. Morì in un anno nel quale ricorreva il bicentenario della morte del grande Andrea Palladio e la città di Vicenza si preparava alle celebrazioni.
Non fu dimenticato l’architetto cappuccino Fra Francesco Maria e Giacomo Zanella che stava predisponendo per le stampe una Vita del Palladio, volle di lui tessere le lodi all’Accademia Olimpica con l’Elogio di Fra Francesco Maria da Vicenza Architetto Cappuccino al secolo Matteo Lorenzoni (1804-1880) – Vicenza, Tip. Paroni, 1880.
Il poeta mise in evidenza che l’architettura di Fra Francesco aveva invenzione,
composizione e stile e queste realizzavano l’arte che diviene grande se “l’artista armi per tempo il suo spirito di sani principi morali e religiosi” e ciò anche per “regolare la foga delle passioni, che d’altra parte sono l’elemento più necessario, anche la vita stessa dell’arte”, ma che degenerano se di esse sole ci si serve nella produzione artistica.
Questo architetto è, oggi, pressoché dimenticato, come tanti altri protagonisti della cultura a Vicenza del passato e di tempi recenti e non si comprende se scientemente o per ideologico vezzo, ma ciò non toglie nulla alla loro valentia che si espresse in molti altri campi dell’arte, che, come afferma Zanella
“Ha vita dalla idea, e l’idea è di tanto più bella e più grande quanto sollevandosi dalle limitate ed imperfette forme della natura si accosta al fonte di ogni bellezza e grandezza ch’è Dio.”
L’Elogio di Zanella serve al poeta per ricordare come il disamore per le cose di religione non aiuta certo l’arte, e ricordando frate Elia che edificò la chiesa della Madonna ad Assisi, Raffaello e altri, ritiene che Fra Francesco da Vicenza fu “uomo nato ad esprimere con sogno visibile certe bellezze non avvertite dal comune degli uomini, ma da lui -– vagheggiate con instancabile amore.”
Tanto che al cappuccino si possono riferire lo stesso epitaffio che Filippo Strozzi dedicò a Filippo Brunelleschi: “Tal sovra sasso sasso / Di giro in giro eternamente io strussi; / che così passo passo / Alto girando al Ciel mi ricondussi”.
Nella importante conclusione dell’Elogio lo Zanella ricorda come Fra Francesco “nella povertà ha dimostrato che a compiere le grandi opere più che la ricchezza vale il cuore; il cuore che sia infiammato dal vero amore di patri e di Dio”, ma oggi questi sono ancora valori per chi insegue più la modaiola prassi dell’apparire che non la sostanza dell’arte, che non è l’ipsitico “mi piace qui e solo ora”.