Il poeta compose versi sul nuovo mezzo di locomozione “con voce tremante d’ammirazione e di timore”.
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Anno V – 20 ottobre 2020
La locomotiva, un mito di progresso per tutti; infatti, fu il simbolo stesso della rivoluzione industriale da quando George Stephenson con il figlio Robert progettò nel 1814 la locomotiva a vapore chiamata Rocket. Da quel momento inizia una nuova era nei trasporti che presto si diffonderà in ogni angolo del mondo e ancor oggi resta uno dei mezzi di trasporto più diffusi sia per le persone sia per le merci. In Italia ebbe un rapido sviluppo; la prima ferrovia, la Napoli Portici, fu costruita per volere del sovrano Ferdinando II e il 3 ottobre 1839 alla presenza del re delle Due Sicilie fu inaugurata. Percorreva a doppio binario la distanza complessiva di 7,2 chilometri, quella che intercorreva tra le due città. Nel Veneto o meglio allora nel Regno Lombardo-Veneto fin dal 1835 era stata prospettata una ferrovia che doveva unire le due capitali: Milano e Venezia: l’Imperial-Regia Privilegiata Strada Ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta (Lombardisch-Venetianische Ferdinandsbahn). Il tracciato definitivo verrà proposta di fatto da Carlo Cattaneo nel suo scritto “Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia” che avrebbe toccato le principali città, fu, stranamente esclusa Bergamo, ma allora non si pensava allo sviluppo che avrebbe avuto. Tra difficoltà varie di ogni genere il progetto prese corpo e il 4 dicembre 1842 la tratta Padova- Marghera fu inaugurata; quattro anni dopo l’11 gennaio 1846 venne inaugurato il tratto Venezia–Vicenza.
Ma non tracciamo la complessa storia di questa ferrovia, piuttosto ricordiamo che essa cambiò il modo stesso di viaggiare e vivere: la velocità prima mai raggiunta da veicoli a trazione animale fu il simbolo, il mito stesso della rivoluzione industriale che in Italia iniziava proprio in quegli anni e che nel Vicentino trovò nello scledense Alessandro Rossi il suo esponente più noto. L’industriale aveva già iniziato a modernizzare, dopo un viaggio in Inghilterra, il laboratorio ereditato per la filatura e la tessitura della lana e proseguendo nella direzione intrapresa ritenne importante dotare la provincia di strada ferrata che collegasse Vicenza e Schio, in modo che le merci potessero viaggiare con maggior velocità. Però, solo nel 1874 la Provincia di Vicenza, mentore A. Rossi, ottenne la concessione e iniziò la costruzione che terminò il 29 agosto 1876. Un tracciato ancor oggi attivo, seppur non percorso più dal “carro del fuoco” come G. Carducci nell’Inno a Satana chiamava la locomotiva a vapore, che però resta il riferimento storico del progresso, celebrato in poesie e canzoni sia nei tempi in cui fu vista per la prima volta sia in tempi recenti. Quel mostro strano, che ruggiva e sembrava avere la stessa forza della dinamite, cambiava il mondo i suoi usi e costumi in una società ancora prevalentemente agricola, ma che si muoveva verso un mondo industrializzato con nuovi rapporti sociali, economici che toccava e trasformavano anche secolari abitudini e contenuti perfino religiosi. La stazione ferroviaria piccola o grande che fosse divenne da quei tempi un luogo importante per il commercio, per gli spostamenti di ogni genere e anche luogo d’incontri e abbandoni e addirittura di suicidi, come narrano Giosuè Carducci e Lev Tolstoj.
Anche tra i poeti vicentini vi fu chi compose versi sul nuovo mezzo di locomozione e lo fece con quell’intendimento che gli era proprio Giacomo Zanella.
Il poeta rifletteva attraverso i versi non già il mito tecnico/scientifico in sé, quanto, come scrisse nella dedica a Fedele Lampertico nella prima edizione dei suoi Versi nel 1868 (Firenze Bàrbera, p. IX): “I soggetti, che più volentieri ho trattati, sono quelli di argomento scientifico (Milton e Galileo Il lavoro; Sopra una conchiglia fossile nel mio studio, Il taglio dell’istmo di Suez, natura e scienza, L’industria). Ma non è già l’oggetto della scienza che mi paresse capace di poesia; bensì i sentimenti, che dalle scoperte della scienza nascono in noi. Per questo io non ho mai posto mano ad uno di questi soggetti, che prima non avessi trovato modo di farvi campeggiar l’uomo e le sue passioni, senza cui la poesia, per ricca che sia d’immagini, è senza vita. Ciò si vedrà nei versi, che hanno per titolo la visita di Milton e Galileo… Quella visita mi parve soggetto opportuno ad esporre alcune idee sulla religione e sulla scienza, che altrimenti non mi sarei avventurato a mettere in versi.”
In questa direzione lo Zanella in un sonetto dell’Astichello, la sua ultima raccolta di poesie e che il compimento della sua stessa ispirazione poetica, riflette proprio sulla ricaduta che questo nuovo mezzo di trasporto ha nella vita degli uomini.
XLIX
Passi, o mostro fumante, e coll’acuto
Tuo sibilo schernir sembri il colono,
Che sulla marra trafelato e prono
Chiede alla gleba l’annüal tributo.
A me, che sotto il vecchio olmo seduto
Il freno a’ multiformi estri abbandono,
Rompi l’alta quïete e come in suono
Di protratta ironia mandi un saluto.
Passa, alato Tifeo: convalli e monti
Supera: annoda opposte genti e d’oro
Apri al cupido volgo intatte fonti;
Ma gli rammenta, che vapor fugace
Son del paro i suoi dì; né v’ha tesoro,
Che d’un campestre asil valga la paceDisegno di Galliano Rosset per il sonetto XLIX della raccolta “Astichello” edita nel 2013 a cura dell’amministrazione comunale di Monticello Conte Otto e presente nella nostra libreria.
La scienza, la tecnica, il nuovo mezzo di trasporto molto danno, fanno però comprendere come la pace sia nella natura e nell’equilibro armonico con essa. Non a caso proprio sul frontone della villetta che il poeta si fece costruire a Cavazzale-Monticello Conte Otto, fece porre il verso di Virgilio: Datur hora quieti. Nel giardino si trovano diversi altri motti tra cui In agello cum libello sola quies (Nel poderetto / in compagnia di un libretto / sta l’unica pace.)”. L’epigrafe è tratta da Tommaso de Kempis, L’imitazione di Cristo. Con ciò si invita ulteriormente a considerare che non la scienza, non la tecnica danno la vera pace, anzi potrebbero perfino nuocere se assolutizzate, come facevano in molti a quell’epoca e non solo.
Con tutto ciò, però la “Compagnia delle strade ferrate Mediterranee” volle intitolare, come riporta P. Bargellini, in Pena dell’ottocento, Morcelliana Brescia, 1945 a pagina 124, una locomotiva a Giacomo Zanella che la “cantò con voce tremante d’ammirazione e di timore”.
Quel timore che è di coloro che sanno considerare ciò che è importante, ossia con quello stato d’animo tra speranza di bene e qualche paura che l’eccesso di vanagloria della scienza e della tecnica hanno e che fanno dimenticare ad opera di novelli dottorelli che il mondo non fu creato a caso e che la favola, se proprio favola l’esistenza di Dio si vuol considerare, fornisce all’uomo più che il vapore sbuffante e lo lascia signore del suo buon pensiero.