Il poeta traduttore della “Ester” di Jean Racine
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Anno V – 15 ottobre 2020
Giacomo Zanella, un’ulteriore sfaccettatura, si occupò di teatro e abbiamo anche un suo testo, superstite. Ozio e fatica. Scena pastorale (Poesie postume, Vicenza, N. Pozza, 1991, pp.257-262, scritto per i ragazzi Lampertico probabilmente nel 1865. Era solito, infatti il reverendo, intrattenere i figli degli amici, quando era loro ospite, forse a La Favorita di Montegaldella in questo caso, con la delineazione di scene e scenette, aiutato anche da Antonio Fogazzaro. Questo a quanto consta è ciò che è rimasto, ma il suo più importante lavoro fu la traduzione della Esther di Jean Racine. Il poeta maturò l’interesse per la tragedia Ester nel 1887 probabilmente su richiesta di Donna Surlera, allora Superiora del Collegio delle Dame Inglesi di Vicenza.
Un testo breve, ma molto significativo, scritto da Racine per le giovani collegiali Saint-Cyr, ideato da M.me de Maintenon la moglie morganatica di Luigi XIV, e adatto, ritenne Zanella, quindi anche alle collegiali vicentine.
Tragedia, viene detta l’opera di Racine, ma non è proprio così! Ciò è attestato dal finale che apre ad una festa, quella che per il popolo ebraico è la festa del Purim. Inoltre il testo raciniano non rispetta l’unità di luogo e lo stesso poeta francese nella Prefazione chiama il testo “pièce”: “Si può dire che in questa pièce l’unità di luogo è osservata, in quanto tutta l’azione si svolge nel palazzo di Assuero. Tuttavia, poiché si è voluto rendere questo divertimento più piacevole per ile fanciulle, si è variato nelle scene, e questa è stata la causa per cui non ho mantenuto questa unità con lo stesso rigore di una volta nelle mie tragedie”.
Ciò era stato notato anche Voltaire che non certo tenero verso i cattolici e i giudei, nel suo testo Canonisation de Saint Cucufin del 1769, apprezzò il testo di Racine e cedette alla bellezza dell’Ester e di alcuni versi che “sont admirables”.
Zanella era da sempre interessato alle figure femminile della Bibbia, ricordiamo le sue traduzioni di testi biblici relativi a Giuditta, Debora, La donna forte, e citate in diverse opere sono Eva, Ruth, Rebecca e Rachele, Anna, moglie di Tobia e Agar, la schiava di Sara. La sua ammirazione e venerazione per Maria la Theodokos; venerazione trasmessagli dalla madre con i suoi “santi detti”.
Non era lo Zanella interessato a una dimensione “politica” di Ester, anche se diversi interpreti francesi, tra cui il maggior esperto di giansenismo J. ORCIBAL, La Genèse d’Esther & d’Athalie, Paris, J. Vrin,1950, pp. 11-47 adombra che alcuni protagonisti abbiano una qualche dimensione politica, siamo negli anni della Congiura dei veleni che toccò anche Racine, tanto che sembra che il Mardocheo ricordi Lavois Antoine_Nompar_de_Caumont duca di Lauzun (1632 –1723), Infatti Lauzun rivelò a Luigi XIV il complotto di François Michel Le Tellier, marchese di Louvois (1641 –1691) in Ester cattivo Hamman ricordi ed infine la regina Vasti, l’abbandonata Madame de Montespan. Ma lo studioso francese non si spinge molto oltre.
Per accostarsi alla traduzione di Ester da parte di Zanella è quanto mai opportuno ricordare che dalla crisi del 1872-76, i tre verni, che influì nella sua ripresa sia la vicinanza di frati francescani sia l’accostarsi del poeta alla spiritualità carmelitana, come attestano le traduzioni di Santa Teresa d’Avila e i quadri delineati per le allieve delle Dame Inglesi sia la traduzione della Salita al Monte Carmelo di san Giovanni della Croce, pubblicata nella seconda edizione dell’Astichello.
Noto ciò per arrivare alle due grandi caratteristiche che si ritrovano in Racine e che piacquero allo Zanella:
- Il valore della donna che “salva “ il popolo e in questo Ester, come insegna la teologia mariana, è prefigurazione di Maria (cfr. J. Ratzinger, Considerazioni sulla posizione della mariologia e della devozione mariana nel complesso della fede e della teologia, in ID, Maria Chiesa nascente, Cinisello Balsamo (MI), 1998, p.27)
- Edith Stein che legge Ester come donna nella sua piena sostanza nel seguente modo: “lo scritto Dialogo notturno del 1941 Suor Benedetta della Croce (Edith Stein) presenta Ester che pone tutta se stessa per la salvezza del suo popolo, sia come prefigurazione di Maria, che è paradigma di coloro che la propria vita mettono nelle mani di Dio per la salvezza di tutti, sia immagine di quel dono della propria vita che in Cristo si è compiuto pienamente sulla croce. (E. Stein, Nel castello dell’anima. Pagine spirituali, a cura di C. Dobner, Roma, Edizioni OCD, 2004, pp. 467-477 ) Inoltre ne comprende la femminilità: “Devo Continuamente pensare alla regina Ester…Io sono una piccola e debole Ester povera e impotente ma il Re che mi ha scelto è infinitamente grande e misericordioso. E questa è una grande consolazione». E. Stein, La scelta di Dio, Lettere, Roma, Città Nuova, 1973, 131-132. E ancora legge nel cattivo ministro di Assuero: “
E nuovamente la Stein: “ La Madre: Oggi un novello Hammànn con odio amaro la strage del tuo popolo ha giurato: Sarà per questo che Ester è tornata? Ester: Sì, tu lo dici, sì, vado vagando per il mondo, rifugio ad implorare per un popolo, il mio, ch’è senza patria, scacciato e calpestato sempre, ma pare senza mai morire.”
(Da Dialogo Notturno 13.6.1941)
Se, riflettendo oggi, ci è concesso un parallelo, Aman, il gran funzionario che ordisce lo sterminio degli Ebrei nell’Impero Persiano, retto, allora da Assuero, che aveva scelta Ester come moglie, è quasi ante litteram il fosco personaggio tedesco, seguace del totalitarismo, nato nel 1917, che teorizzò e, purtroppo, mise in atto attraverso le Leggi di Norimberga del 1935, la “soluzione finale”, la shoah contro gli Ebrei, immagine vivente nella memoria di tutti i genocidi e i razzismi politici del secolo ventesimo e che perdurano anche nel ventunesimo. Ma, proprio ma una donna, una donna di fede che supplica Dio, ottiene la salvezza, diviene intermediaria, detta anche avvocatessa della misericordia, che è la speranza di un fine buono tra il pericolo dei suoi correligionari e la divinità con la piena manifestazione di fiducia in Colui che è la potenza della storia. In Ester fede, speranza di salvezza e amore (carità) appaiono in tutta la loro forza in numerosi luoghi del dramma e sono la forza che vince ogni avverso destino.
Tutto ciò esalta il punto più importante che vede Ester protagonista e nello stesso tempo educatrice del suo popolo e di ogni uomo, ed in particolare, questo intende anche significare Zanella, le giovani collegiali, chiamate non ad ascoltare, ma partecipare.
Il punto più importante è la preghiera, quel servizio divino interiore come lo chiamava Immanuel Kant e che esprime quella fondamentale domanda Che cosa posso sperare Che cosa posso sperare?. la vera ed unica risposta – la preghiera – che invita a operare nel segno della fede e quindi della carità.
Preghiera sommessa, non pubblica- quella mentale di Santa Teresa d’Avila diremo – quella di Ester, ma quella che le fornisce la forza di presentarsi al sovrano in modi non prescritti. Qui emerge appieno la donna Ester, debole – sviene – se vogliamo, ma non “doma”, esempio per tutte le donne come afferma Edith Stein, che avverte: “Solo quando le rispettive caratteristiche maschili e femminili sono pienamente sviluppate, si raggiunge la massima somiglianza possibile col divino, e solo allora la comune vita terrena viene tutta potentemente compenetrata dalla vita divina.”
Ester, nel contesto delle figure femminili bibliche, assume importanza ed è formativa per le alunne del Collegio, che in lei intravvedono un impegno che non è solo quello familiare, cui sono quasi tutte destinate, ma anche sociale, politico, se il termine non avesse assunto connotazioni spesso negative. La famiglia primo nucleo della vita cristiana, chiesa domestica, è in relazione con le altre e costituisce la società che si organizza in uno Stato, il cui fine deve essere, Rosmini docet, morale e per questo la donna vi contribuisce con la propria specificità che è maternità materiale e spirituale.
Il teatro diventa occasione in Racine/ Zanella per formazione alla fede e al valore della preghiera che smuove le montagne e i sofismi dei dottorelli, alias intellettuali che poco leggono e troppo criticano.
Ritorniamo con questa pièce al teatro come speculum vitae e proposta di riflessione ed è forza pedagogica e divertimento.
Il teatro quindi non fine a se stesso per il regista per gli attori come troppo spesso accade di vedere oggi, ma festa vero divertimento dalla quotidianità, dagli impegni, ma nello stesso tempo momento di riflessione e di formazione alla vita che per Zanella era quella della fede religiosa imparata dalla madre e vissuta con semplicità: Pel taglio di un bosco: “serbar gli antichi affetti, l’arte d’Italia e la materna fede”
A conclusione, ricordiamo sempre che la visione dello Zanella non fu mai “laica” come si vorrebbe da parte di qualche interprete/critico perché nel poeta: “Senza la fede dei padri nostri non vedo raggio di bene né per l’Italia né per l’arte”.