L’uso del tabaccare non era considerato un vizio da Zanella, sacerdote serio e mai chiacchierato
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Anno V – 1 agosto 2020
Eh! Sì, bisogna dirlo, anche il poeta Giacomo Zanella, come molti suoi contemporanei, usava tabaccare, fiutare con il naso della polvere di tabacco. Il tabacco da fiuto (Schnupftabak in tedesco, snuff in inglese) è un derivato appunto dal tabacco, che, opportunamente sminuzzato e fatto fermentare e con l’aggiunta talora degli olii aromatici (menta, verbena, ecc,.), era inalato anche con la scusa di finalità igienico-sanitarie.
Il tabacco, pianta delle Americhe, ma pare esistesse anche in Etiopia e tracce ne sono state trovate in tombe egizie, fu importata in Europa dopo il secondo viaggio di Cristoforo Colombo nelle AMERICHE.
Gli “indiani” di quei luoghi usavano già il tabacco da fiuto e la sua vera diffusione in Europa iniziò nel 1561 allorchè jean Nicot, ambasciatore francese a Lisbona, inviò a Caterina de’ Medici del tabacco da fiuto per curare l’emicrani di un suo figlio. Un uso quindi medicamentoso all’inizio, ma che ben presto divenne un uso importante, dato che si riteneva che liberasse il naso da costipazioni varie delle vie aeree superiori.
Tanto si diffuse che “tutti tabaccavano” e la tabacchiera divenne un oggetto “must” si direbbe oggi, che ogni uomo doveva portare con sé, ne approfittarono anche le Signore. L’oggetto insieme all’orologio era parte del corredo maschile e ne esistono di tantissime, forme e materiali. In genere una scatoletta rettangolare di legno di bosso, d’ulivo, di osso, avorio, argento, oro con smalti o niello, con pietre preziose. Era anche un regalo nelle ambascerie. L’oggetto saliva di importanza nei materiali a seconda del ceto di appartenenza dello “sniffatore”. Nei musei sia della civiltà contadina che del gioiello cono conservati esemplari bellissimi, preziosi e di tutti i materiali e oggi sono oggetto di collezione.
A differenza del sigaro, del fumo del tabacco con la pipa e soprattutto della sigaretta il tabaccare aveva un “fondamento” medico e il vegetale era usato anche in preparazioni galeniche, le candelle grosse suggerite da Ambrogio Bertrandi, Opere, vol. VI, Torino, 1788, p.324 per la Stranguria venerea, ovvero la gonorrea sventata.
L’uso da medico divenne ben presto “ricreativo”: non si conoscevano certo gli effetti negativi per il fisico, evidenziati solo a partire dalla metà del secolo ventesimo, ma il tabaccare era considerato anche un vizio, tanto che Papa Urbano VIII voleva si scomunicassero coloro che usavano tabacco da fiuto, e avrebbe fatto le spese San Pio X.
In Russia nel 1643 ebbe nello zar Michele un castigatore dei costumi impose il taglio del naso a chiunque fosse visto usare la bruna polvere. L’uso continuò.
Fiutatori erano Napoleone, papa Benedetto XIII, la regina Carlotta d’Inghilterra, una emancipazione? e fino a tempi recenti era abbastanza diffuso anche in Italia. Si ricorda che perfino San Pio da Pietrelcina usasse fiutare tabacco e così pure Helmut Schmid, il cancelliere tedesco e Enzo Tortora e non facciamo lunghi elenchi.
Giacomo Zanella era anche lui un utilizzatore di tabacco da fiuto, a prova di ciò nella Biblioteca Civica Bertoliana è conservata la sua tabacchiera in argento e niello, un oggetto, come si evince dalla fotografia, prezioso e direi bello. Fu lasciato alla libreria dal nipote insieme a due delle tre conchiglie fossili possedute dal poeta. Non sappiamo quanto sia stato l’uso, se più volte al giorno o l’oggetto era tenuto solo per offrire “una “presa” agli amici, che ponendo il tabacco nell’incavo che si forma tra il pollice e l’indice, inalavano la polvere.
Non abbiamo nelle composizioni cenni al tabacco e al tabacco da fiuto, solo un riferimento a papa Urbano VIII nel Milton e Galileo (vv. 297- 315), ma per stigmatizzare i vizi carnali:
“L’Arti tornâr; ma dall’antico Olimpo
Tornò con esse Voluttà. La greca
Testa di mirti redivivi ombrata
Mostrâr Venere e Bacco; e la cocolla
Indossando per gioco, al romorío
Si mescolâr de’ tuoi prandi notturni,
O folleggiando carolâr per l’ombre
De’ tuoi boschetti suburbani.
O vigna Di Sion desolata!
O del Signore
Contaminata greggia! Un’altra volta
Umanità corruppe le sue vie,
E ne’ diletti della carne assorto
Di Dio si rise e del suo ciel lo spirto.
Tal Roma io vidi. E tu, Divino, a questo
Di bugiardi splendori idol caduco
La fronte inchini trepidando? Tu
Sovra la curva de’ rotanti soli
Uso a colloqui coll’Eterno, udirne
Credi la voce d’un Urban sul labbro?“
L’uso del tabaccare non era considerato un vizio da Zanella, sacerdote serio e mai chiacchierato.
Fa anche un po’ piacere sapere che il poeta usava tabaccare, ce lo rende ancor più umano, se non bastasse il racconto della sua vita, il suo servizio sacerdote, educativo e poetico, che ha sempre avuto una finalità morale.
Ben si addice l’aneddoto che circola su San Pio X, che usava anche lui tabaccare. Nei giardini vaticani, passeggiando insieme ad un eminentissimo cardinale, gli offrì una presa di tabacco. Il prelato si schermì ed affermo: “santità non ho questo vizio”. Rispose in veneto il papa. “Ma va là, chi non gà sto vissio, ne gaverà altri e peso.” Così liquidò il cardinale e ci fornisce, dobbiamo considerare però i tempi, un’indicazione che il fiutare tabacco non era un vizio e non comportava danni, anzi faceva pure bene alla salute.
Oggi non si tabacca quasi più, ma l’uso è in Germani ancora diffuso e in Mongolia è segno d’amicizia scambiarsi un po’ di tabacco da fiuto.
Certo la scienza ci ha fatto comprendere i danni che derivano dal tabacco utilizzato come sigaro, sigaretta o con la pipa o fiutato, ma, purtroppo ben altre sostanze vengono fiutate e provocano quasi all’istante l’intorbidamento della psiche e dei sensi, ma si fa finta di nulla, anzi si vorrebbero legalizzare, così la coscienza, dicono, tacerebbe.
Avverte il poeta che non nell’effimero, tabacco da fiuto o in altra sostanza o piacere l’uomo deve ricercar la gioia, perché:
“ma ben più profonda
Gioia dell’uman core è nel mistero… Che atterra il tronfio sofista” che non all’anima pensa ma: “s’accomoda, fiutando polvere bianca o secca erba, ecc., al salario.”