Quella volta che Zanella ebbe un richiamo dal vescovo.
da La Voce del Sileno di Italo Francesco Baldo
Anno V – 21 giugno 2020
Alla domenica molti incontrano per la S. Messa i sacerdoti che la celebrano.
Giacomo Zanella, sacerdote, ha riflettuto sulla condizione dei presbiteri; lui che fu sempre considerato positivamente nella condotta e nel servizio.
Certo non gli mancarono delle avversioni da parte dei confratelli per la sua prospettiva per l’Unità d’Italia, e solo una volta ebbe un richiamo.
Il vescovo Antonio Farina, oggi Santo, lo rimproverò pubblicamente perché aveva ricordato che il Lascito Muttoni, ad oggi esistente in diocesi di Vicenza, serviva ai preti poveri e non ad altri scopi.
Il vescovo e il poeta che gli dedicò anche dei componimenti, fecero velocemente pace.
La formazione di Zanella fu profonda e precisa anche sulla riflessione del filosofo, pure lui sacerdote, Antonio Rosmini di Rovereto e qualche traccia è nelle opere del poeta.
Quest’anno ricorre il bicentenario della nascita del poeta e sacerdote Giacomo Zanella (Chiampo, 9 settembre 1820). Giovanissimo entrò per la formazione nel Seminario vescovile di Vicenza, un luogo di alta cultura soprattutto classica, ma anche aperto alle “novità” contemporanee, tra cui, per quanto riguarda la filosofia, proprio ad Antonio Rosmini.
Il vescovo Giovanni Giuseppe Cappellari (1772-1860), già docente presso l’Università di Padova dal 1815 come professore di teologia morale e diritto canonico dal 1819, dove tenne corsi di Sacra Scrittura e nel 1832 fu eletto Magnifico rettore era un estimatore del filosofo roveretano. Elevato alla cattedra di Vicenza si adoperò per la formazione dei seminaristi e incaricò don Giovanni Rossi, fratello dell’industriale Alessandro, e protagonista nei fatti del 1848 a Vicenza, di approfondire il pensiero rosminiano, che, insieme a quello di Vicenzo Gioberti, era considerato d’ attualità. Accanto a lui anche don Giuseppe Fogazzaro, lo zio di Antonio, coltivò sempre lo studio del roveretano.
I giovani seminaristi, tra cui appunto Giacomo Zanella, vennero certamente a conoscenza dell’importante pensiero e nei manoscritti di filosofia, che attendono lettura e pubblicazione, è possibile rintracciare echi rosminiani.
Anche tra le opere pubblicate e particolarmente in una: Discorso letto dall’ab. Giacomo Zanella nelle solenni esequie pei caduti nelle guerre del risorgimento d’Italia celebrate nella cattedrale di Vicenza il giorno 10 ottobre 1866 (Vicenza, Tip. Naz. Paroni, 1866 e Venezia, Gaspari, 1866). Nella prima parte del discorso si avverte con chiarezza che il vicentino aveva letto e condivideva il testo del Consultore del Santo Uffizio Delle cinque piaghe della Santa chiesa. Il trattato pubblicato a Lugano, Veladini e Comp., 1848 e Bruxelles, Société Typographique, 1848 era dedicato “Al clero cattolico”. Il pensatore annoverava tra le piaghe che colpivano la Chiesa cattolica, esposta nel capitolo: Della piaga della mano dritta della santa Chiesa, vi era la insufficiente educazione del Clero. Con precisi riferimenti anche storici, Rosmini denunciava la necessità di provvedere a un miglioramento, perché i Seminari preparano i sacerdoti come i catechismi i fedeli.
Giacomo Zanella fu sacerdote attento e serio nel suo servizio, pur non avendo mai compiti parrocchiali, spesso coadiuvava nelle parrocchie a Vicenza, Padova, dove fu docente all’università di Letteratura Italiana, a Polegge e Cavazzale, paesi vicini a Vicenza. Nell’ultimo aveva costruito una sua piccola dimora per avere pace e dove compose il capolavoro la silloge Astichello.
In un sonetto del 1848, scritto dopo aver tenuto un ottavario ai sacerdoti di Lonigo (VI), avvertiva qualcosa che è pure oggi d’attualità
Chi per febbre di plausi il lezïoso
Stempra sermon che sol dal labbro esala,
O chi a salir del pergamo fa scola,
Non fia ch’opra alle turbe il ver nascoso.
Religïon è ver. Tu, il generoso
Core, onde parli, e dell’ingegno l’ala
Guida così, che qual nel lezzo ammola
Nella vigna di Dio trovi riposo
Mille al gregge dan norme: un sol l’educa;
Perché il maestro della santa scola,
Colpa il mal vezzo, pochi hanno per duca.
Tu, se al fior d’April risponde il frutto;
O al Vero sacrerai franca parola,
O muta sia se non può dirlo tutto.
Nello scritto invece che sopra abbiamo ricordato lo Zanella ricorda coloro che diedero la propria vita per il processo di unificazione italiana, e si rivolge al clero vicentino riconoscendo a Pio IX di aver “dato la spinta al vascello” del processo unitario italiano, anche se poi “ i mari si turbarono” ed invoca l’unità del clero che egli vide sempre come guida per il popolo soprattutto in quei tempi, dove andava diffondendosi la miscredenza, le ideologie politiche di Marx e la filosofia positiva, unita al darwinismo diffondevano l’ateismo.
Scrive lo Zanella:” Certo è che la miscredenza non sarebbe tanti progressi, se il clero avesse avuta più coscienza di sé e delle sue forze: ma questa coscienza non ebbe né forse può averla per l’antiquata forma d’istruzione, che riceve in quasi tutti i seminari d’Italia.
Due sono le correnti dell’errore ai nostri giorni: da un lato s’impigna la divina autorità delle Scritture, e per conseguenza Gesù Cristo – lo dirà Pio X nell’enciclica Pascendi dominici gregis (Introduzione); dall’altro si nega decisamente Iddio, risolvendo il problema dell’universo nel panteismo o materialismo germanico. Lo studio critico de’Libri santi, corredato di tutte le scoperte della moderna filologia, e lo studio delle filosofie tedesche è indispensabile al sacerdote, che voglia combattere con frutto gli errori dominanti.
Ma nelle nostre scuole teologiche poco si conosce di ciò. Sapranno gli alunni confutare vittoriosamente Ario, Fozio, Lutero e Calvino; ma contro i nuovi errori quelle argomentazioni non valgono; e chi volesse servirsene a combattere Hegel, Schelling, Vogt, e Maleschott (pensatori tedeschi) darebbero spettacolo di chi andasse contro le moderne artiglierie colla lancia e colla corazza di Carlomagno”. Preciso discorso che chiede maggiore cultura, ma anche maggiore capacità di educazione, che lo Zanella chiese anche per i giovani in un Discorso Scuola Famiglia del 1862 a Padova allorché divenne Direttore del locale Liceo.
Ricordando i martiri del 1848, Giacomo Zanella, che fu detto anche “il poeta dell’unità d’Italia, non la pensa “politicamente”, richiama costantemente all’unità di fede e di patria, di cui possono essere protagonisti gli stessi sacerdoti. Infatti, l’unità di fede come dice Rosmini nel chiudere il Capitolo II Delle cinque piaghe, è ben condivisa dal poeta che ricorda “L’Italia ha sempre voluto l’unità come politica, così religiosa.” Infatti affermerà che senza la fede delle madri e dei padri nostri non vedrebbe raggio di bene né per l’Italia né per l’arte” e lo ribadirà nelle sue Note di religione che nella pubblicazione ha avuto l’Introduzione di don Pierangelo Rigon della diocesi di Vicenza, prematuramente scomparso.
Le due autorità debbono accordarsi e a questo debbono operare i sacerdoti, raccolti “a ‘piedi di Pio nono”.
Note che attestano come la visione di Rosmini dell’unità d’Italia fosse condivisa e sia stata una costante nel servizio ecclesiale, nella poesia e nell’educazione di Giacomo Zanella e il suo il richiamo al clero e oggi estendibile anche ai christofideles laici, ad un maggior impegno culturale sia baluardo ieri come oggi di fronte ai tempi che con baldanza eccessiva negano le ragioni dello spirito e avviliscono l’anima, deteriorando così la vita sella società riunita nello Stato. Un pensiero più “rosminiano” che vicino a V. Gioberti, che si evidenzia con i versi del poeta: “Amor di patria: Serbare gli antichi affetti / L’arte d’Italia e la materna fede” (G. Zanella).
Per avere una visione complessiva cfr.I.F. Baldo, Zanella sacerdote, Vicenza, Editrice Veneta, 2015 e Antonio Rosmini Serbati: Una filosofia al servizio della carità (bicentenario della nascita), Supp. a Genitori de ” La Nostra Famiglia” 4 (1997), n.8, ott. 1997.